MAX PEZZALI, l’intervista: «Ricomincio dall’Uomo Ragno»


Max Pezzali (foto Pigi Cipelli)
  • Max Pezzali (foto Pigi Cipelli)
Max Pezzali (foto Pigi Cipelli)
«Spider-Man è l’eroe preferito di mio figlio. Qui dentro potrebbe impazzire». Max Pezzali, appena entrato al Museo del Fumetto di Milano, all’interno della Mostra dedicata al personaggio Marvel, non trattiene la propria meraviglia. Nel 1992 il supereroe in calzamaglia rossa gli ispirò «Hanno ucciso l’Uomo Ragno», il primo grande successo degli 883. Vent’anni dopo esce l’edizione 2012, tutta in chiave rap. Una passione, quella per Spider-Man, che Pezzali ha trasmesso al piccolo Hilo, 3 anni e mezzo di età. «Al centro della mia vita ora c’è lui. Mio figlio è il passato, il presente e la prosecuzione ideale di me».
E l’Uomo Ragno, quale ruolo occupa oggi?
«Rimane un modello. È un “nerd” che nasconde le sue potenzialità dietro gli occhiali, facendo il fotografo d’assalto precario. Spider-Man ti fa capire che, nonostante tutto, si può ancora sperare».
Che cosa sperava Max Pezzali all’inizio degli Anni 90?
«Ero un giovane universitario che sognava di fare musica. Dopo aver incassato tanti due di picche io e Mauro Repetto eravamo ormai pronti a rinunciare. Mandammo però un’ultima cassetta a Claudio Cecchetto, che ci volle subito vedere. In quel momento iniziò a prendere forma l’album “Hanno ucciso l’uomo ragno”».
Chi decise che negli 883 Mauro dovesse essere quello che sgambettava al lato del palco?
«Fu una sua scelta e, per assurdo, si rivelò vincente. Diventammo così riconoscibili e visibili. Mauro però cercava una strada propria, aveva capito che la scrittura per il cinema e per il teatro era quello che voleva fare davvero, e in seguito puntò tutte le sue energie su questo».
Vi vedete ancora?
«Non ci siamo visti per 13 anni fino allo scorso ottobre, quando sono andato a trovarlo in Francia dove lavora. Ci è venuto a prendere alla stazione con uno dei due suoi figli sulle spalle. È stato come se ci fossimo lasciati la sera prima, abbiamo ritrovato lo stesso “flusso di delirio” di allora».
Tornerete a lavorare insieme?
«Siamo convinti che qualcosa faremo, anche se non come 883. Magari uno spettacolo teatrale. Il nostro affiatamento è ancora vivo, oggi come allora».
Che cosa prova quando guarda le foto di voi due nel pieno del successo?
«Penso a me sull’ottovolante di una popolarità inaspettata. È stata la parte più bella ed esaltante di tutta la carriera. Facevamo un mestiere che non sapevamo di fare. Eravamo lì ma non sapevamo di esserci. Eravamo dentro il nostro corpo ma anche fuori, vedevamo tutta questa gente di fronte a noi e non capivamo il perché. Cosa volevano da noi? Eravamo esaltati da vittorie ottenute in una guerra che non stavamo combattendo».
Esiste ancora quell’innocenza nel mondo della musica?
«Diciamo che oggi tutti sono professori e nessuno è allievo. Invece in quegli anni tutto era spontaneo, ed è la cosa che mi manca di più. Oggi ognuno si sente filosofo dei suoi duemila amici su Facebook. Tutti hanno il loro piccolo palcoscenico e tutti pensano di essere delle star. Non si rendono conto che non bastano due frasi a effetto per essere dei fenomeni. C’era l’umiltà di essere se stessi, oggi le sovrastrutture ci stanno soffocando».
Perché ha deciso di rifare l’album in chiave rap?
«“Hanno ucciso l’Uomo Ragno” aveva una narrazione diversa da tutto ciò che si poteva ascoltare vent’anni fa. Eravamo forse i soli, insieme con Jovanotti, a parlare del quotidiano. E oggi gli unici artisti che raccontano la vita reale sono quelli che fanno rap. Gli altri invece si sono rifugiati nella poesia e nella musica d’autore. Non so, forse sarà la paura della critica o forse quella che io chiamo “la psicosi della maturità”. Il fatto è che in Italia il pop non c’è e non c’è mai stato».
In che modo tutto questo si riflette in «Siamo sempre noi», l’unico inedito dell’album, interpretato con J-Ax?
«L’intento era quello di entrare un po’ nel mood dell’album originale. Abbiamo tentato di raccontare quel momento dal punto di vista di due che c’erano e hanno vissuto pienamente quel mondo, due persone che con le loro canzoni hanno contribuito a costruire l’immaginario degli Anni 90. È un brano che non guarda al passato con malinconia, ma guarda al futuro senza rimpianti. Credo di aver interpretato lo spirito di chi ha ancora voglia di divertirsi nella musica, guardando avanti e facendo sorridere chi ascolta».
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Scritto da: Alessandro Alicandri

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