domenica 19 maggio 2013

Donovan


Pubblicazione 01 Ottobre 2008

Donovan

They Call Me Mellow Yellow

Lo abbiamo visto suonare in occasione del Tributo ai Beatles passato in RAI qualche mese fa e ci siamo chiesti per quale motivo uno con la sua storia alle spalle si fosse prestato a un simile teatrino. Misteri del marketing, gli stessi che governano un mercato dei DVD musicali perennemente in fibrillazione ma che fino ad oggi non aveva ancora partorito un'opera organica sulla carriera di Donovan. A porre rimedio pensa ora Sunshine Superman: The Journey Of Donovan, una buona occasione per familiarizzare con l'arte di uno dei musicisti più influenti dei Sixties e un'ottima scusa per ricostruirne, in breve, le vicissitudini.
Donovan
1963
Donovan Philip Leich nasce il 10 maggio 1946 nei dintorni di Glasgow da una famiglia della working class. I primi dieci anni passati nella città distrutta dalla guerra lo segnano in maniera indelebile nel fisico e nell' anima, dal momento che all'età di tre anni contrae la poliomielite e tutta la sua infanzia la trascorre in una famiglia legatissima alle tradizioni scozzesi e irlandesi. Un ambiente che entra direttamente in correlazione con la passione del padre per la poesia e che costituirà la base per tutto il folk a venire dell'artista. L'illuminazione vera e propria, tuttavia, arriva quando la famiglia Leich si è già trasferita in Inghilterra. La causa sono i Beatles e la pietra della scandalo, come per molti musicisti dell'epoca, è Love Me Do: “Mi sedetti sulle scale ad ascoltare la canzone che arrivava dalla radio e improvvisamente ebbi la certezza che avrei fatto quello. L'unica cosa che sapevo era che volevo cantare alla mia generazione.”
  Il suo background culturale, tuttavia, è profondamente diverso da quello dei fab four, radicato più in vecchie folk-songs ormai dimenticate che nel rock'n'roll. Ed è proprio a quelle che il Nostro si rivolge, studiandone le strutture e riapplicando lo stile ai brani che scrive di suo pugno. Grazie all'incontro con quello che diventerà l'amico di sempre, Gypsy Dave, si converte alla vita del musicista bohemien, in aperta contrapposizione con la società perbenista inglese e le sue false certezze. Un'estetica, quella del giramondo senza radici, che diventerà anche una delle tematiche più frequentate dalla produzione musicale del Donovan degli esordi. Le istanze giovanili, inoltre, trovano un naturale sbocco nella controcultura e in particolare in opere come On The Road di Jack Kerouac, The Howl di Allen Ginsberg e Beat Zen, Square Zen and Zen di Alan Watts, che imprimono in Philip l'etica del viaggio e della scoperta, gli fanno comprendere le potenzialità della parola e l'importanza della libertà d'espressione, gli svelano principi filosofici in grado di metterlo in contatto con la (sua) natura.
Nel biennio 1963/1964 le cose cominciano a muoversi in fretta. Tra esperienze di vita comune, pellegrinaggi nel Sud della Francia e qualche set in giro per locali, Donovan entra in contatto con i manager dei Cops & Robbers, che dopo averlo sentito suonare gli propongono di registrare qualche demo presso la Southern Music di Londra. Il passo successivo sono tre passaggi televisivi a Ready Steady Go! su iniziativa del produttore della trasmissione, Elkan Allan, che gli garantiscono una certa notorietà e gli consentono di incidere il primo singolo per il mercato discografico. La scelta cade su Catch The Wind, brano con cui inizia anche ad affermarsi l'immagine del trovatore girovago: “Quando la Vj di Ready Steady Go mi chiese cosa avessi fatto la settimana prima io le risposi che avevo dormito sulla spiaggia. Così tutta l'Inghilterra vide questo cantante celtico romantico di diciott'anni dire che viveva la vita di uno zingaro.” E assieme all'estetica romantica cominciano anche gli inevitabili paragoni con Bob Dylan, da un lato per le assonanze musicali – Catch The Wind presenta più di un punto di contatto con il folk del menestrello di Duluth -, dall'altro per le evidenti analogie nel modo di presentarsi.
Una contrapposizione in parte giustificata e in parte ad uso e consumo della stampa, che tuttavia garantirà a Donovan l'appellativo di “Bob Dylan inglese” per buona parte della sua carriera: “Quando iniziammo a scrivere c'era nella mia musica il fantasma di Bob Dylan e di Woody Guthrie. Molte persone notarono quanto la melodia di Catch The Wind fosse vicina alle melodie di Bob Dylan, non comprendendo tuttavia, quanto le melodie di Dylan fossero vicine alle ballate irlandesi e scozzesi.” La definizione di cantante di protesta che di lì a poco verrà affibbiata al Nostro dopo l'uscita della sua cover di Buffy Sainte-Marie Universal Soldier, non aiuterà a chiarire le parti in causa, nonostante due album pubblicati durante l'anno come What's Bin Did And What's Bin Hid e Fairytale principalmente incentrati su tematiche amorose o affettive. L'involontaria querelle con Bob Dylan un vantaggio, comunque, lo porta, dal momento che lo stesso anno il musicista scozzese viene invitato a suonare al Festival di Newport nientemeno che da Joan Baez, allora compagna dello stesso Dylan.
Un primo passaggio in America che verrà ufficializzato dal successo clamoroso che qualche tempo dopo otterrà Sunshine Superman. Al disco si comincia a lavorare proprio nel 1965, quando a produrre viene chiamato un tecnico dalla spiccata sensibilità pop e con il pallino della sperimentazione come Mickie Most, già al lavoro con Animals e Herman & The Hermits. Dentro ci finiscono un folk vagamente jazzato con tanto di strumentazione elettrica e arrangiamenti in anticipo sulla sbornia psichedelica che investirà di lì a poco tutta l'Inghilterra, ma soprattutto brani dall'impianto ritmico innovativo – la title track ma anche Season Of The Witch e The Trip – e il notevole appeal. L'omonimo singolo esce nel '66 inizialmente solo in America, per problemi legali legati alla distribuzione inglese – problemi che si protrarranno per qualche anno finendo per causare discrepanze nella discografia ufficiale – e raggiunge direttamente il primo posto della classifica dei singoli più venduti, aprendo all'artista le porte di un successo enorme.
La stessa cosa succede a Mellow Yellow, tratto dal successore di Sunshine Superman, un brano che arriva al numero due della classifica USA confermando l'interessamento di Donovan per certo pop-jazz di matrice tipicamente britannica e per il folk più intimista. Siamo nel 1966 e l'immagine del troubadour romantico si sta lentamente trasformando. In sua vece, un autore sempre più coinvolto nel movimento psichedelico inglese, assorbito dalle istanze del flower power, influenzato dalla cultura della Londra “che swinga”, interessato a rimanere ancorato alla sua idea di musica ma al tempo stesso deciso a trovarne un corrispettivo più “aggiornato”. Il primo risultato di questa ricerca fiorisce in piena summer of love e ha il nome di Wear Your Love Like Heaven, un disco in cui convergono vaudeville (Skip-A-long Sam) e brani dalle velleità espansive (la title-track), folk sporcato di jazz (oh Gosh) e storielle tipicamente britanniche - e beatlesiane - (Mad John's Escape), anche se un po' in tutto il disco si respirano morbidezze di chiara matrice psichedelica. L'LP esce anche in questo caso solo in America, per poi essere pubblicato in Inghilterra nel 1968 in un doppio album (A Gift From A Flower To A Garden)assieme alla raccolta di canzoni dedicate ai bambini For Little Ones.
Il 1968 si apre con il pellegrinaggio di Donovan in India presso il Maharishi Yogi assieme ai Beatles, un'esperienza che oltre a segnare nel profondo il Nostro dal punto di vista spirituale, gli porterà in dote, come nel caso dei baronetti, la pratica della meditazione trascendentale e qualche declinazione musicale in tema. Per una produzione che lo stesso anno continua con Hurdy Gurdy Man, l'episodio forse più fantasioso dell'intera carriera, in cui si media tra elementi musicali etnici indiani (Peregrine) e scorci lisergici ai confini con l'hard (Hurdy Gurdy Man). L'omonimo singolo è una sorta di prova generale per i futuri Led Zeppelin, dal momento che alle registrazioni partecipano Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham e dimostra come anche il folk di Donovan possa, all'occorrenza, liberare un'anima spigolosa in linea con le ultime tendenze musicali. Tutto il disco, comunque, risente positivamente dalle nuove influenze, candidandosi a classico già prima di uscire. L'operazione di fusione viene ripetuta un anno dopo con Barabajagal, primo singolo dell'album che uscirà nel 1969. Questa volta è della partita il Jeff Beck Group, che trasforma il brano in una sorta di voodoo song con tanto di chitarre elettriche e ritmica funky, garantendo all'omonimo album buoni riscontri di vendita.
Donovan nei Settanta
Donovan
1973
Donovan nei Settanta
Dopo meno di un lustro finisce la collaborazione di Donovan con Mickie Most, l'artefice dei suoi principali successi, e il Nostro comincia i Settanta partecipando al Festival dell'Isola di Wight. E' un decennio particolare per chi come lui, arriva dalla scena musicale dei Sixties: l'illusione dell'amore universale ha fallito miseramente, molti dei protagonisti del passato sono morti – tra i tanti, Brian Jones, Janis Joplin, Jimi Hendrix -, altri hanno perso la bussola dopo la fine della scena psichedelica. Per Donovan si apre un periodo di riflessione che lo porta a viaggiare verso la Grecia nel tentativo di ritrovare lo spirito che aveva animato i suoi primi passi nel music business e con l'intenzione di scrivere nuovo materiale. Esce un disco come Open Road, in bilico tra country e folk, caratterizzato da arrangiamenti acustici minimali ma al tempo stesso orientato verso un suono corale (basso, chitarra, batteria), pregevole in alcuni passaggi – l'iniziale Changes, l'orecchiabile Riki Tiki Tavi -, prescindibile in altri. In Giappone inizia il tour mondiale ma da subito ci si rende conto che qualcosa si è rotto. Le esibizioni non sono all'altezza, il clima è teso e tutto sembra cadere a pezzi, a cominciare dal sistema nervoso di Donovan, messo a dura prova dai ritmi serrati della promozione, logorato da anni spesi sulla strada senza un attimo di tregua e fiaccato dall'esilio forzato a cui l'artista è costretto per motivi fiscali e che non gli consente di rientrare in Inghilterra senza subire consistenti perdite finanziarie. L'unica soluzione, tuttavia, sembra proprio il rientro in patria:“Mentre stavo salendo sul Jet della British Airways mio padre e l'agente, scongiurandomi in ginocchio, mi dissero che se fossi salito su quell'aereo il tax exile sarebbe finito e sette milioni di dollari sarebbero sfumati. A quel tempo non mi interessava molto la parte finanziaria della mia carriera e così, per me, non fu una grossa perdita. Anzi fu un guadagno, dal momento che sentivo che quella vita mi stava uccidendo”.
Nonostante il momento negativo il destino riserva una bella sorpresa al musicista scozzese. Linda Lawrence, la donna che nel 1965 aveva conosciuto durante le registrazioni di Ready Steady Go! e aveva amato fintanto che lei non era partita per l'America, torna in Inghilterra. I due si ricongiungono e per Donovan inizia un momento di rinascita umana e artistica. Decidono che la terra promessa per i primi anni settanta sarà il deserto americano di Joshua Tree e lì si trasferiscono mettendo su famiglia. Assieme agli affetti torna anche l'ispirazione e il Nostro riprende a scrivere musica, sintetizzando l'immensità dei cieli notturni e la natura straordinaria del deserto in Cosmic Wheels. Un disco che altro non è se non un aggiornamento del pensiero hippy dei Sessanta filtrato da un'estetica musicale che pare ammiccare al rock di Marc Bolan, almeno in alcuni frangenti. Tra archi e ballate rubate all'America dei grandi spazi, chiaroscuri insoliti per l'artista e blues scarni, si assiste alla nascita di un suono alieno, lontano dai classicismi folk a cui Donovan aveva abituato il proprio pubblico ma dai risvolti decisamente affascinanti. Nello stesso periodo esce anche una seconda raccolta di canzoni per bambini a suo nome, il doppio H.M.S. Donovan, ma soprattutto nasce nell'artista l'esigenza di mettersi alla prova con le colonne sonore.
L'esperienza più importante, da questo punto di vista, Donovan la fa tra il '72 e il '73 con Franco Zeffirelli, quando compone le musiche di Fratello Sole, Sorella Luna, anche se l'interesse per il mondo del cinema rimarrà una costante fino ai giorni nostri.
Il resto degli anni Settanta scorre via in un attimo ma per Donovan tutto sembra procedere di nuovo nella direzione sbagliata. Nel '74 esce Essence To Essence, nel '76 Slow Down World, nel '77 Donovan, ma nessuno dei tre dischi riesce a riportare in auge il nome del musicista scozzese, che nello stesso tempo vede ridursi in maniera significativa il pubblico disposto a seguirlo in concerto. Nel decennio successivo la situazione peggiora ancora, con la pubblicazione di Neutronica, Love Is Only Feeling e Lady Of The Stars, opere transitorie e in qualche caso fuori dal tempo incapaci di risollevare le sorti di una carriera che sembra definitivamente giunta al capolinea: “I miei ricordi degli anni '80 sono completamente assenti. Impossibile ricordare cosa ho fatto in quegli anni”. Così Donovan e Linda decidono di fare ritorno verso la Gran Bretagna per ritrovare un po' di serenità e si stabiliscono in Irlanda, dove il Nostro si ritira ufficialmente dalle scene pur continuando a suonare per un audience ristretta ma capace di apprezzarlo. Bisogna aspettare i primi anni '90 per rivederlo a buoni livelli.
Donovan
1993
L'occasione gliela dà Shaun Ryder con i suoi Happy Mondays, che gli dedicano una canzone e lo vogliono come supporter in alcune date dal vivo. Una notorietà ritrovata festeggiata prima con la pubblicazione del live Donovan Rising e poi suggellata, nel 1996, dall'uscita di un disco tutto nuovo registrato grazie all'aiuto di Rick Rubin, produttore già al lavoro con Johnny Cash per il suo American Recordings. L'opera ritorna alle origini, mostrando un Donovan capace di intrerpretare brani dal fascino romantico e i toni malinconici (su tutti Please Don't Bend, il country-folk di Give It All Up, Everlasting Sea) con l'accompagnamento di chitarra, pianoforte e archi. Un approccio tradizionale forse, ma che comunque sottolinea il buon momento di forma del menestrello scozzese. Col nuovo millennio ritroviamo il musicista adottato da buona parte della nuova generazione pop inglese – gli Starsailor lo vogliono sul palco durante un'edizione del Glastonbury Festival – e da qualche artista dell'ala post-war folk, un ritorno in pompa magna che ne decreta l'istituzionalizzazione e il passaggio ufficiale verso la modernità.
Scheda: Donovan
copertina pdf #103

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