domenica 28 luglio 2013

Bluvertigo.

Scritto da M.U.
Ne è passato di tempo dalla Trilogia Chimica!
Morgan, all'anagrafe Marco Castoldi, è recentemente tornato alla ribalta grazie, o per colpa, di X Factor, popolare trasmissione televisiva pseudo-musicale. Basta una rapida visione del programma per giungere ad una conclusione: Morgan ha esagerato, impersonando fin troppo realisticamente il personaggio fuori dagli schemi che guidava i Bluvertigo. Se all'epoca dei suoi primi successi interviste stravaganti e vistoso make-up erano parte di una scelta artistica condivisibile e autoironica, oggi la credibilità delle sue azioni sembra venire meno. In particolare, storciamo il naso di fronte a sciocchi battibecchi, false proposte e ideali di seconda mano in un improbabile teatrino dei debuttanti.
Frettolosa come conclusione, giustificata in parte, sicuramente spontanea reazione del fan tradito, ma frettolosa. Non solo gli appassionati hanno reagito. Ecco il pensiero di Eros Ramazzotti espresso su La Repubblica circa un anno fa:

Anni fa Morgan ha detto: "mi vergogno di essere rappresentato nel mondo da uno come Ramazzotti". Ma chi è Morgan? Che vuole? Che fa? Il giurato, il giudice a X Factor, il posto peggiore dove un cantante esordiente possa capitare.

Tuttavia, chiedere ai suoi sostenitori sul blog di X Factor cosa ne pensano di questo rilancio televisivo è sicuramente una prova del fatto che Morgan tiene a dare spiegazioni e a discutere della sua più recente evoluzione.
Un'analisi dell'artista Morgan dagli albori della sua carriera può essere utile ad inquadrarlo da un'altra prospettiva, un punto di vista che ci permetta di perdonargli la presunta caduta di stile, soprattutto se durante questa esplorazione teniamo ben presente il tratto fondamentale del nostro: l'eccentricità.
Fin dal 1995, quando uscì il primo lavoro ufficiale a nome Bluvertigo dal titolo Acidi e Basi, non è mai mancata a Morgan la capacità di stupire pubblico e critica con atteggiamenti esuberanti, degni discendenti del periodo glam di David Bowie, uno dei suoi principali idoli. Per quanto immaturo, Acidi e Basi porta con sè i due aspetti chiave della musica dei Bluvertigo: la peculiarità lirica e la varietà stilistica.
Nulla togliendo al talento del resto della band, è a Morgan che guardiamo quando si tratta di decisioni in studio, produzione, testi e direzioni intraprese. Poliedrico e sempre attento alle influenze, Morgan seleziona per le musiche tutto quello che è stato il suo passato di ascoltatore e il suo presente di musicista-ascoltatore. Colto in questo senso più di altri suoi contemporanei, per tutta la durata del suo percorso artistico, compreso quello solista, troviamo cantautorato italiano (Battiato e De André) mescolato con rock d'oltremanica, gli anni '80 della new wave e l'elettronica d'avanguardia. Morgan forgia per i Bluvertigo uno stile perfettamente riconoscibile, personale e meno debitore al resto del mondo di quanto lo sia il suono di, ad esempio, Afterhours o Marlene Kuntz. Sul versante lirico, rinuncia alla rima facile in favore di aforismi, metafore e allusioni, in uno sfoggio di ermetismo poetico che spesso e volentieri fa da filtro ad esperienze personali: un demone buono e un demone cattivo si scontrano in me, canterà in Metallo Non Metallo, secondo disco per i Bluvertigo nel 1997 e col tempo diventato quello più rappresentativo.
Il successo è immediato, e si consolida due anni dopo con l'ultimo capitolo della cosiddetta Trilogia Chimica, Zero. Una raccolta nel 2001 dal nome Pop Tools, contenente il brano "L'Assenzio" portato a Sanremo nello stesso anno, sarà l'ultima mossa prima del silenzio stampa da parte dei Bluvertigo: evitando aperte dichiarazioni, il gruppo si pone in una fase di stallo, allontanandosi dai riflettori senza ammettere o promettere nulla, fino al recente ritorno per qualche concerto.
Tra la presunta fine e l'annunciato ritorno, Morgan non ha mai disdegnato il mezzo televisione, è forse questo che i fan intransigenti non riescono a capire, e con loro i critici dell'ultima ora. Anzichè ergersi a figura portante del rock alternativo dello Stivale, per poi smentire tutto tradendo la fiducia dei propri ammiratori con azioni di dubbio gusto, Morgan non ha mai vestito tali panni. Proprio per questo la partecipazione al festival di Sanremo non va fraintesa: i Bluvertigo non stavano mendicando popolarità, continuavano semplicemente per la loro strada anche se imposta dalla casa discografica. La loro non è una battaglia contro il mainstream, la loro musica non è mai stata il portabandiera di chissà quale orgoglio snob.
E' molto più semplice in quest'ottica discutere dell'artista Morgan, che sempre artista rimane nonostante i Bluvertigo siano messi da parte. Da solista, il nostro pubblicherà tre album, spostando l'attenzione verso un'intimità molto più accentuata che in precedenza. Morgan mette a nudo la sua vita e i suoi amori, i suoi contrasti e le sue paure, le sue ossessioni e il suo presente: Canzoni dell'Appartamento, primo lavoro a suo nome e sicuramente il migliore, vince il premio Tenco nel 2003. Non mancano collaborazioni per colonne sonore, le apparizioni in televisione (fra le altre: MTV Absolutely 90s e da Fazio a Che Tempo Che Fa) e la pubblicazione di libri che gli valgono un discreto successo di critica. In ogni sua comparsa conserva comunque intatta l'aria da intellettuale che si porta dietro ormai da anni: nei vestiti, nei vezzi, nei toni e nella scelta lessicale Morgan si mantiene al tempo stesso onesto e scostante, introverso ed eclettico.
Il suo approdare a X Factor ha subito suscitato reazioni contrastanti, eppure la sua figura mediatica è sempre esistita, latente in certi momenti ma sempre presente e pronta a riapparire per comodità o necessità. Ambiguo come nelle sue opere, non è sufficiente una trasmissione televisiva per giudicare il suo lavoro, e il fraintendimento è alla portata di mano di fronte ad un personaggio che di maschere ne indossa almeno tante quanti sono i vestiti che cambia regolarmente tra una puntata e l'altra.
Il miglior modo per capire Morgan restano, in ogni caso, le sue parole. E per capire il suo attuale punto di arrivo c'è solo da chiedersi insieme a lui:

Dove sono arrivato
come ci sono arrivato
e in quali condizioni
sulla strada che non prenderemo
dove sono arrivato?
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martedì 23 luglio 2013

Grandi U2.

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Ascoltare le nuove canzoni degli U2 e scoprire come si fa a non diventare caricature di se stessi

Qualche tempo fa Bono ha dichiarato: “Mi sono rotto le balle di Bono – e sono lui”. Questo per introdurre il dovere che sentiamo nostro di dire qualcosa su “No Line On The Horizon”, primo nuovo album degli U2 in cinque anni, 12esimo della loro produzione e quello che arriva quando, compattamente, i quattro irlandesi sono sul passo di transitare – assieme ai loro abiti di scena nerissimi, alle foto di scena epiche e al loro zidaldone di anthem music – per il traguardo dei 50 anni. Cosa voglia dire essere ancora gli U2 è un interrogativo di un qualche interesse, perché porta con sé quelle dissertazioni sul perché, così repentinamente, il rock abbia smarrito l’ambizione di trasformare il pianeta, sul perché sia tramontato così in fretta mentre noi qui ci si metteva un tempo infinito a maturare, e sul perché le stesse personalità che prima, su un palco, ci sembravano sexy e magiche, oggi ci appaiano sovente ridicole e indecenti, e perché, quando si sentono intitolate a sbrodolare la loro celebrità fuori dalle sette note, come ha fatto, troppo, l’amico Bono, nominato al Nobel, ci innervosiscano vieppiù. Insomma, loro sono ancora qui, hanno riavviato il carrozzone, hanno lucidato le borchie e Bono dev’essersi ammazzato di gargarismi per essere all’altezza della situazione – come sempre, onestamente, è stato. E il loro nuovo disco comincia, seppure in modo sconfortante, perché davvero nulla pare cambiato da un passato ormai remoto, suoni chiaroscurali stantii, che ci trascinano indietro assieme alla vita che nel frattempo abbiamo fatto e agli errori che mica possono essere riparati. Ma Bono invece gorgheggia, sfodera i suoi bassi da piacione, poi inforca i vigorosi alti singhiozzanti e infine, coitale, immerso nella cattedrale dei riverberi, lascia partire la solita raffica di gorgheggi da rodeo di cui ha il copyright, per i quali è diventato il più imitato, nella nefasta yodellizzazione del rock. Però, se si supera questa partenza retroattiva, se si tollera il basso di Clayton che subito comincia a tuoneggiare, la batteria di Mullen che pare sempre estirpata da una marching band, o la chitarra di Edge condannata a rendersi stereotipo, e se con una certa condiscendenza si lascia che facciano il loro lavoro, le cose migliorano.
Dalle canzoni nuove degli U2 trasuda la consapevolezza della condanna di essere se stessi, una condizione con la quale dovranno fare i conti fino alla fine, ma con lo sforzo di non diventare la caricatura di se stessi. C’è una specie di rassegnata diligenza che si percepisce solco dopo solco, e nel contempo è difficile restare indifferenti alla riproposizione di una ricetta così musicalmente perfetta, un miracolo evolutivo che ha assortito personalità e rappresentazioni artistiche componendo un quadro vivente irripetibile, nella sua grandeur, nei suoi eccessi, nei suoi sentimentalismi, nelle sue gigionate. “Horizon” è questo. Quattro signori provati, stanchi ma disposti a ripetere il copione, nemmeno si trattasse dell’ennesima pomeridiana de “I miserabili” – eppure, una volta partiti, capaci ancora di accendere la scintilla, di decollare, di darsi dignità. Uno in particolare, il loro cantante, quello che non ha mai del tutto risolto i conti col proprio provincialismo e diversi problemucci con l’ego e col namedropping, anche lui si rimette ordinatamente in posizione e fa la sua parte – col talento che ha avuto in dote e anche con un’apprezzabile dose di autoironia. A confezionare il tutto, ci pensa una illustre ditta che fa squadra per queste grandi occasioni, garantendosi con poco sforzo una pensione perlomeno dorata: Brian Eno, Steve Lillywhite e Daniel Lanois sanno plasmare, completare, sbrinare, infiocchettare e mandare in produzione il tutto nella più elegante delle maniere – senza strafare, senza un briciolo di un’idea nuova ma con la necessaria incisività (e il disco arriva in ritardo, col fiato della casa discografica sul collo perché all’inizio gli U2 hanno perso tempo in un disastroso tentativo di “rinnovamento” sotto l’egida di Rick Rubin, che se n’è andato sbattendo la porta). Volete dar loro ancora corda? Liberi di farlo e non ve ne pentirete granché, purché sappiate fin d’ora che non è qui che troverete stimoli o sorprese. Ma se volete tirar giù le vele, mandare la musica e lasciarvi portare da correnti musicalmente familiari, questo disco farà onestamente del suo. Ma tralasciate di guardare le foto, perché quei segni sui visi sono troppo profondi, perché non pensavamo davvero che sarebbe finita così, perché altro che giovani leoni, qua finisce che ci prende la nostalgia perfino per gli occhiali da mosca.
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domenica 21 luglio 2013

Portera in sicilia.

Live Sicilia

Stasera A VILLA FILIPPINA

Tributo a Lucio Dalla
con Ricky Portera e i Kalvi

Venerdì 28 Giugno 2013 - 11:01

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Amico e collaboratore di Dalla, Portera rende omaggio al cantautore bolognese scomparso lo scorso anno. Ad accompagnarlo sul palco i Kalvi

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    Ciao Lucio – Tributo a Lucio Dalla” è l’omaggio che, martedì 2 luglio, Villa Filippina dedica al cantautore bolognese scomparso lo scorso anno. A raccontare, tra musica e ricordo, lo sconfinato percorso artistico di Lucio Dalla sarà Ricky Portera. Chitarrista e session man di grande sensibilità e carattere, Portera è stato amico e collaboratore di Dalla (insieme furono protagonisti, tra l’altro, della “Banana Republic”) ed ha suonato con i più noti cantautori italiani: da Ron a Finardi, da De Gregori a Venditti, da Nek alla Bertè.

    Lucio Dalla ha scritto e dedicato a Ricky Portera il brano “Grande figlio di puttana” che divenne, nel 1982, il più grande successo degli Stadio di cui Portera fu fondatore insieme al cantante Gaetano Curreri e al batterista Giovanni Pezzoli. Messinese di nascita, emiliano d’adozione, Portera ha anche scritto “Una canzone per lei” per Vasco Rossi e calcato per due volte il palcoscenico dell’Ariston: nel 1996 a fianco di Paola Turci presente con il brano “Volo così” e nel 2006 con Anna Tatangelo con il brano “Essere una donna”.

    Ad accompagnare Ricky Portera sul palco di Villa Filippina in questa immersion live nell’universo di Lucio saranno i Kalvi, band palermitana formata da Germano Seggio alla chitarra, Teddy Schifano alla batteria e Fabio Lannino al basso. Nel corso della serata-evento, sponsorizzata da Heineken, il chitarrista siculo-emiliano sfodererà le inequivocabili doti di guitar man che gli consentono di associare una grande melodicità ad una tecnica esasperata, facendo del suo strumento un efficace mezzo di comunicazione emozionale. La grande scoperta per il pubblico che è abituato a vederlo strimpellare sui palchi, un passo indietro rispetto ai big della canzone italiana, sarà la voce con la quale Portera rispolvererà e reinterpreterà i più grandi successi di un’icona musicale che rimarrà scolpita nel tempo.

    “Con Dalla – racconta Portera – ho suonato per 33 anni. Nonostante ciò reinterpretarlo non è facile perché Lucio è inimitabile. Gli renderemo comunque omaggio con il nostro stile e la nostra musica”.

    I cancelli di Villa Filippina si apriranno alle 19.30. L'ingresso è libero.

    Informazioni sulla serata e sulla programmazione estiva di Villa Filippina: Tel. 091.6116565 – Cell 346.9589139 – www.villafilippina.it
    Ultima modifica: 02 Luglio ore 11:47

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